Bozzone ha gli occhi stretti, piccole fessure consumate da molte risate e qualche lacrima. Indossa un cappotto marziale, più adatto alla vecchia Unione Sovietica che alle Cascine. Qualcuno lo riconosce e glielo fa notare. Lui, Carlo Monni, 69 anni, risponde ironico: “Vado a conoscere la suocera, almeno il primo giorno mi fo’ vede’ per bene”. L’inusuale eleganza è interrotta dagli immancabili sandali, devastati da calzini bianchi che sfidano la fanghiglia di una Firenze allagata. I toscanismi si alternano a stilnovismi improvvisi: “Devo ancora desinare”, “Poi prendo il tramvia e mi reco a teatro”, “E’ bello progredire sull’erba”. Niente cellulare, la passione per il bere, poca voglia di stare in casa: “Dopo un po’ mi rompo i coglioni”. Un fastidio per il registratore (“Puoi tenerlo spento?”). I capelli lunghi, da profeta. “Ne interpretai uno, per un film Rai di Gregoretti, L’assedio di Firenze. Era il ’75. Salii sul pulpito, in una Chiesa vera: finzione pura, ma la gente mi ascoltava e aveva paura sul serio”. L’intervista coincide con una lunga passeggiata, lungo la riva destra dell’Arno. “Vengo spesso qui. Il Ceccherini dice: ‘’Dov’è i’ Monni? A battere alle Cascine’. Come le prostitute”. Il “Bozzone” che diceva cose sboccatissime in Berlinguer ti voglio bene, e trasmetteva con un imberbe Roberto Benigni “da una stalla di Capalle” sul finire dei Settanta, è memoria storica del cinema italiano. Basta chiedere.
Che fa, adesso, il Monni?
“Teatro e piazze, soprattutto Toscana. Chitarra, batteria, basso tuba. Musica d’autore e prosa. Quando cresci nelle Feste de l’Unità, ti abitui all’arena. Mica come il teatro impegnato. Che senso ha fare Pirandello? Per vedere ‘icchè?”.
E il cinema?
“Ogni tanto. In Manuale d’amore 3 c’era Scamarcio: credevo peggio, non è malaccio. Uno bravo è Valerio Mastandrea. Ero suo padre in Tutti giù per terra (1997), tra i miei preferiti. Ho appena finito La mia mamma suona il rock, del Ceccherini. La storia di due frocioni con desiderio di maternità”.
Passare da Benigni a Ceccherini è il segno dei tempi.
“Ceccherini è l’unico artista vero della sua generazione. Il nostro Pinocchio era bellino davvero. Gli manca la continuità, ma è un geniaccio. Meglio di Pieraccioni e Panariello: loro sono accomodanti, non hanno ‘svettature’. E’ il gruppo di Aria fresca, di Carlo Conti: c’entro poco”.
La tivù è storia passata?
“Arbore mi aveva chiamato per Indietro tutta, ma la tivù non mi garba. Anche Onda libera (1976) non mi sembrava mica un granché. Al massimo faccio qualcosa a Stracult”.
Ovvero l’elogio del trash. O quasi.
“Di bischerate se ne fa tante. Ho girato anche con Christian De Sica (il film era 3, anno 1996). Giovanni Veronesi, lo sceneggiatore, mi diceva: ‘C’è una parte bella per te’. Sì, figurati. Roba da affogarli tutti. Abitavo a Roma e avevo bisogno di soldi. Che troiai”.
E i cinepanettoni?
“Io, i cinemapanettoni (testuale, NdA), non li ho mai visti. Una volta mi invitarono a un festival di genere. Mi misi a guardare il pubblico. Ravvisai che i ragazzi sembravano dei trogloditi e le passere, anche se dotate, non le avrei mai trombate. Lì son razzista: se vai a vedere i cinemapanettoni, non ti trombo”.
L’attore peggiore?
“Peggiore non so, il più volgare Bombolo. Ero con lui ne I carabbinieri (1981). Un filmaccio. Prima di girare, Bombolo mi anticipava le battute che voleva improvvisare. Tutte sui gay. Terribili”.
Benigni, con lei, era ancora quello del Cioni Mario.
“Sempre stato un genio, si capiva dai tempi di Vergaio. Uno scienziato della comicità. Berlinguer ti voglio bene (1978) e i nostri sketch erano roba sua, poi Giuseppe Bertolucci gli dava forma”.
Non si resta che piangere (1984) era improvvisazione pura.
“Lui e Troisi si fecero pagare anticipatamente per la sceneggiatura. Dissero che avevano bisogno di viaggiare per scrivere. Tre mesi in montagna: ‘No, niente’. Tre mesi all’Argentario: ‘Macchè’. Tre mesi in campagna: ‘Nulla’. E giù, soldi. Poi tornarono dai produttori e dissero: ‘Ci sono due che si perdono e incontrano Colombo’. Fine della sceneggiatura”.
Le riprese?
“Da piegarsi dal ridere. Ad esempio quando Troisi, in chiesa, dice ‘Sì sì, ho capito’ alla Sandrelli. Si svegliavano e decidevano sul momento. La Parisina (Lidia Venturini) faceva la mi’ mamma (Monni era Vitellozzo). Mi implorava: ‘Tu sai nulla?’. Attrice di teatro, abituata ai copioni. Rispondevo che gli sceneggiatori erano quei due lì. Lei scrollava la testa: ‘Mammina mia’’”.
Chi era il più bravo?
“Benigni ha più genio, più gamma di racconto. Una fusione tra colto e popolare: le case del popolo, le trattorie, la Toscana antica. Repertorio infinito, ce l’ho anch’io. Quello che ha fatto Benigni sul palcoscenico, non c’è omo in Europa”.
E Troisi?
“Più vis comica, con lui ti buttavi proprio in terra. Ricordo No grazie, il caffè mi rende nervoso (1982). Interpretavo un ispettore di polizia. Non c’entravo niente, ma quando fai banda fai banda. Dovevo sorvegliare la protagonista (Maddalena Crippa). Dissi col mio accento la battuta, Massimo cominciò a prendermi in giro. Attaccammo a ridere per ore, toccò smettere di girare”.
L’ultimo Benigni è annacquato.
“Eh, ora lo chiamano in Parlamento, parla dell’Inno. Il discolo non lo può più fare. Il successo ti rovina. Non sei più libero. Secondo me, in cuor suo, Benigni si diverte parecchio meno. L’ho perso di vista dopo Non ci resta che piangere, quando sono tornato a Firenze”.
Forse la conversione “amorosa” dipende da Nicoletta Braschi.
“L’amore è cieco, non puoi farci niente. Guarda anche questo qui (indica l’amico che passeggia accanto). E’ innamorato da anni di una maiala, e lo sa che è maiala, ma mica la lascia”.
Si è mai sposato?
“Non ancora, per fortuna. Così posso andare a passera”.
Non ha parlato di Francesco Nuti.
“Lo sketch nel lettino di Caruso Pascoski è passato alla storia. Per Casablanca, Casablanca (1985) c’era una scena al bar, di notte, malinconica. La rivide e non gli piaceva. Lui è uno preciso. Mi disse che non aveva i soldi per pagarmi di più. Io: ‘Vien via, rifacciamola’. Dieci minuti micidiali. Ci si poteva divertire ancora parecchio, insieme, se non si ammalava”.
Alessandro Benvenuti.
“A teatro è bravo. Per il cinema deve abbassare la cresta e affidarsi al digitale, 500mila euro e via. Ha scritto la terza puntata della Saga Gori, quella in cui muoio io. Prima o poi si farà”.
Novello Novelli.
“Mio suocero in Benvenuti in casa Gori. Non un attore straordinario, ma con la faccia giusta. L’ho sentito di recente, ma anche lui ormai ha 82 anni, è depresso”.
Ha studiato per fare l’attore?
“Macché: autarchico, come Nanni Moretti. Dovevo recitare in un suo film, quello dei briganti, ma avevo un impegno a teatro (allude a Domani accadrà, l’esordio di Luchetti nel 1987)”.
“Ci ha trombato la miseria e siamo rimasti incinta”, diceva nel monologo “Noi siamo quella razza” di Berlinguer ti voglio bene. E adesso?
“Adesso scrivo un’opera rock e smetto. Intanto ringrazio Dio di non avermi dato troppo successo. Fuori dalla Toscana sanno una sega chi è Carlo Monni, ma va bene così. Godo più alla Festa dell’Unità di Poggibonsi che al Metropolitan”.
(Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2012)
[…] Voglio lasciarvi con queste parole di Carlo Monni: […]
Bella intervista e bel personaggio, genuino, concreto e -soprattutto- sincero !
Conoscendolo bene, questa intervista gli rende proprio onore. Le domande sono giuste e le risposte decisamente vere, quelle che solo un uomo caro, generoso e sincero sa dare.
[…] chi vuole approfondire, una bella intervista a Carlo Monni di Andrea Scanzi, dal suo […]
Purtroppo il Monni ci ha lasciato. Onore e merito ad un grande 🙁
[…] Se ne va con lui tanto, tantissimo. Molto per fortuna resta, indelebile. Ripropongo la bella intervista a Carlo Monni di Andrea Scanzi, uscita sul suo blog tempo […]
[…] la bella intervista a Carlo Monni di Andrea Scanzi, uscita sul suo blog tempo […]
[…] sul sito di Andrea Scanzi, una bella intervista a Carlo Monni uscita qualche giorno […]
Fantastico. Ottima intervista, molto interessante
Fantastica quest’intervista a Monni!
Che personaggio… lo incontro spesso la mattina alle cascine …sembra un pò un barbone con quel cappotto e quei sandali.. ma come si dice qui tra noi fiorentini ” L’E’ ISSU BELLO… “
Ricordo una fantastica interpretazione teatrale di Pinocchio (lui era il Grillo) con Alessandro Paci. Da sganasciarsi dal ridere.
PAGARE, BIONDINO ! (grazie)
Bellissima intervista Andrea. Complimenti. Carlo Monni Mito Assoluto!
super!
ha già detto tutto quel cjhe penso Anna Maria. E’ veramente una fortuna fare il tuo mestiere, ed è una fortuna leggere chi scrive così bene, con passione e che riesce a regalare al lettore le emozioni che lui stesso ha provato nell’intervistare personaggi così genuini! Grazie.
Sei fortunato a fare questo lavoro, ma anche noi che ti leggiamo lo siamo. Le tue interviste sono dei veri e propri regali, grazie.
Carlo Monni patrimonio dell’umanità. Complimenti per l’intervista, l’ho letta sul Fatto e l’ho sponsorizzata ovunque.
alla grande!!! 🙂
bellissima!!!!!!
Bella.E’ uno spettacolo Carlo, son felice che tu lo abbia intervistato, grazie.A settembre, durante la pausa pranzo di un allestimento alle Cascine , sentire quello che aveva da raccontare al baracchino dei panini mi “rimetteva al mondo”.Spettacolari e strasincere le affermazioni sui vari protagonisti cinematografici, teatrali e televisivi (“con quelli di aria Fresca non c’entro nulla.” menomale).Personaggio “senza filtro”.
Bella davvero
Carlo e’ un grande. Indiscutibilmente. Condivido tutto cio’ che ha detto nell’intervista
stupenda.
Ciao, grande Carlo……..