Se amate gli sport estremi non c’è bisogno di affidarsi al bungee jumping, allo streetluge o allo zorbing. Basta affrontare un viaggio in autostrada: sarà oltremodo emozionante, perché incontrerete l’umanità più varia. Questa.
Gli zigzaganti. Stanno all’autostrada come Tomba allo slalom gigante. Saettano da sinistra a destra, e poi da destra a sinistra, neanche fossero Alessandra Moretti o Verdini. Non hanno tempo da sprecare. Poi, quando arrivano a casa con tre minuti e sette secondi di anticipo rispetto al resto del mondo, e non c’è nessuno ad aspettarli se non un geco giustamente depresso, si sentono soli. Tanto soli. Così rimettono in moto l’auto e ripartono. Verso una destinazione a caso.
I sinistrati. Procedono sempre nella corsia di sorpasso. Lo fanno anche se le altre carreggiate sono liberissime: gli piace così. Forse odiano la Meloni e non vogliono stare a destra neanche per disgrazia, o forse sono convinti che la corsia di sinistra goda di un microclima più salubre. Nel dubbio, si impossessano di questo interregno ambulante e si sentono leggeri, mentre dietro di loro una coda smisurata ne maledice con trasporto belluino ogni parente.
I rallentanti. Soffrono di una particolarissima labirintite che li porta ad accelerare quando non devono e viceversa: non appena si spostano a sinistra perché intenti a sorpassare, rallentano. Guidano al contrario, come se avessero scelto l’universo parallelo sbagliato nella serie Fringe. A guardarli, però, sembrano mediamente felici.
I codisti. Tribù più diffusa di quel che si creda, caratterizzata dalla smodata fascinazione per le code. Non appena vedono un rallentamento, inchiodano con giubilo, spengono la macchina e improvvisano un banchetto sul tetto dell’auto. Nei casi (per loro) più fortunati, quando cioè l’autostrada è proprio bloccata, gridano al miracolo e si abbracciano estaticamente tra loro. Muniti di viveri infiniti e vettovaglie da far invidia alla Mogherini, mangiano felici mentre gli altri – tutt’attorno – inveiscono sperando di ripartire. A ben pensarci, della vita, hanno capito tutto.
I contantisti. Odiano il Telepass e non accettano che i casellanti non esistano quasi più. Usano solo contanti e, di fronte al pedaggio automatizzato, si sentono smarriti. Un po’ perché sono imbranati e un po’ perché vorrebbero fare due chiacchiere. Così, in mancanza di meglio, dialogano fittamente con le voci automatiche. “Introdurre la moneta a destra”; “Grazie. Come ti chiami?”; “Attendere il resto”; “E’ un po’ strano, come nome. Suona un po’ male, senza offesa s’intende”; “Ritirare la ricevuta”; “Sei una donna di poche parole, tu”. E via così.
I lampeggianti. Usano i fari come razzi fotonici in grado di incenerire la plebe che osa fare 130 km/h, mentre loro sotto i 180 non vanno mai. Lampeggiano come ossessi, sperando che quel gesto compulsivo trasformi la loro corsia in una personalissima galleria del vento. Poi, quando trovano in corsia di sorpasso un camion più lento di un editoriale di Cerasa, e qualcuno dietro di loro lampeggia a sua volta, sbottano cupi: “Che cazzo lampeggi, brutto stronzo?! Ormai la gente neanche sa più cosa sia l’educazione”.
I controllisti. Doterebbero qualsiasi mezzo, anche un triciclo, del “cruise control”, il dispositivo che permette di non superare mai una determinata velocità. Settano la loro auto a 110 km/h e non la cambiano più. Neanche per disgrazia. Un tale approccio, di per sé meritorio, ha delle piccole controindicazioni, perché se non c’è nessuno fungono da tappo e se c’è una coda tamponano tutti. Pazienza: l’importante è non superare i limiti.
Smartphonisti. Parlano. Scrivono. Postano. Cinguettano. Whatsappano. Instagrammano. Poi, tra una pausa e l’altra, guidano: controvoglia, però. E guai a disturbarli.
Gli indecisi. Vivono i bivi autostradali come crocicchi esistenziali e, per questo, ponderano con attenzione ogni decisione: ci pensano bene. Prassi salutare, che li porta a sostare puntualmente nell’esiguo – e appena pericoloso – spiazzo di fronte ai cartelli “Sinistra Roma” “Destra Firenze”. Per sentirsi in regola, mettono le quattro frecce. Cominciano poi a litigare, quasi sempre da soli. “Io andrei a sinistra, perché il Vaticano mi eccita”. “Ma no, io andrei a destra, ho voglia di parlare di Aristofane con Nardella”. Di solito, per la cronaca, vince Nardella.
I benzinaisti. Concepiscono le aree di servizio come box indesiderati e, quel che peggio, alieni. Parcheggiano l’auto davanti alla pompa di benzina, ovviamente troppo avanti: la pompa non ci arriva. Tornano in auto, mettono la retromarcia e vanno indietro. Troppo. Tornano in auto, sacramentando più di Carlo Monni in Berlinguer ti voglio bene, e aspettano il benzinaio. Solo che, fatalmente, hanno scelto la pompa “self service”. Dopo mezzora se ne accorgono, ma solo perché quello che attende lo ha appena minacciato di sterminargli la famiglia se non si sbriga. Provano allora a effettuare il rifornimento, ma la benzina non esce. Non capiscono, fissano le istruzioni e si sentono come tanti piccoli Gasparri: senza speranza. Si dirigono minacciosi verso uno dei benzinai, che gli dice che prima di effettuare il rifornimento occorre pagare anticipatamente: “Guardi, c’è pure il cartello. E’ scritto grande così”. Loro si inalberano, gridano che è uno scandalo e ripartono sgommando. “Davvero credevate di fregare uno come me?”, gridano. Poi, dopo sette chilometri, restano in panne. In mezzo alla carreggiata e in balia del fato. Ma con l’orgoglio salvo (Il Fatto Quotidiano, 29 luglio 2015).